Bosco di abeti |
Se
pensiamo alla storia dell’uomo (due o tre milioni di anni, una storia
lunga o corta, la misura è relativa...) come ad un unica, continua
esperienza che ha depositato nella memoria inconsapevole di ognuno di
noi una medesima eredità di conoscenze, forme, emozioni..., la
nostra mente avverte la presenza di immagini – per lo più semplici
ed essenziali – il cui valore e significato ci appare comune
all’intera storia della coscienza umana. Sono idee primitive,
archetipi, concetti, raffigurazioni di elementi che hanno fatto parte
da sempre della nostra vita sulla terra e che nel corso della
crescita dell’umanità e della sua coscienza collettiva sono stati
via via arricchiti di valori di significati, di associazioni, di
emozioni..., finché il loro valore simbolico è diventato dapprima
percepibile e poi così denso e pregnante da superare spesso il loro
mutevole significato contingente.
Queste
immagini simboliche sono diventate parte di tutte le culture del
pianeta, emergendo alla coscienza dei popoli e dei singoli a volte
come mito, a volte come elemento caratteristico nella fiaba o nella
leggenda, a volte nella religiosità, a volte nell’arte figurativa,
nella musica, nella poesia, nelle più diverse forme della fantasia
espressiva dell’uomo.
Sono
innanzitutto gli elementi costitutivi del mondo: l’aria, l’acqua,
il fuoco, la terra...; sono i soggetti della nostra esperienza
esistenziale di vita: il bambino, il vecchio saggio, la madre, il
padre, la vecchia strega, la fata madrina...; sono gli animali
protettori, sono gli astri, le piante... Ma tra gli esseri viventi
che per primi sono diventati immagini simboliche nell’universo
psichico dell’umanità, ci sono stati di certo gli alberi.
L’albero fu senza dubbio il primo essere vivente ad essere avvertito come protettore da parte dell’umanità primeva e forse, ancor prima, da parte dei nostri progenitori primati. Riparo dai predatori prima della costruzione di ogni rifugio artificiale, dispensatore di frutti e di cibo ben prima della nascita dell’agricoltura; fornitore del legno, il primo materiale plastico impiegato dagli uomini delle origini per costruire la propria abitazione, per preparare ogni sorta di utensile, per solcare le acque; veicolo del fuoco, potente elemento di sopravvivenza e di trasformazione.
L’albero fu senza dubbio il primo essere vivente ad essere avvertito come protettore da parte dell’umanità primeva e forse, ancor prima, da parte dei nostri progenitori primati. Riparo dai predatori prima della costruzione di ogni rifugio artificiale, dispensatore di frutti e di cibo ben prima della nascita dell’agricoltura; fornitore del legno, il primo materiale plastico impiegato dagli uomini delle origini per costruire la propria abitazione, per preparare ogni sorta di utensile, per solcare le acque; veicolo del fuoco, potente elemento di sopravvivenza e di trasformazione.
I
suoi rami, le sue fronde, la sua chioma in grado di offrire un riparo
dalle avversità del clima, ma anche dagli animali antagonisti e dai
nemici...non offriva un caldo senso di protezione per chi vi si
riparava, così come di riverenza o di terrore per gli attaccanti?
albero però è anche bosco e foresta, e dunque è ombra, è buio, è
mistero, è luogo impenetrabile a chi non vi sia iniziato e non ne
conosca i segreti sentieri, è luogo in cui rifugiarsi o addirittura
scomparire: la foresta rifugio di Sherwood, la Foresta Sacra dei
Celti e degli orientali, il Bosco Incantato, la foresta
vergine...Foresta è però anche luogo di solitudine e di abbandono,
è situazione inquietante in cui perdiamo la traccia fino ad allora
seguita e in cui sperimentiamo l’angoscia della separazione: è la
Selva Oscura di Dante, così come il fitto bosco di Pollicino o di
Hansel e Graetel, fitto di pericoli e di minacce...
L’albero
era inoltre l’essere vivente più longevo che l’uomo
potesse conoscere: poteva sopravvivere a decine e decine di
generazioni per raggiungere un’età tale (oltre tremila anni)
raggiungibile da nessun altro essere vivente, apparendo dunque
pressoché immortale o eterno, simbolo vivente della sopravvivenza.
Come potevamo dunque non sentirlo l’antenato per eccellenza,
il padre, la stirpe, l’origine, la reincarnazione o il
prolungamento di un essere divino? Innumerevoli popoli hanno
considerato particolari varietà di alberi come propri antenati
mitici, così come molto diffuso è stato il simbolismo sessuale
dell’albero, sia maschile che femminile, e la sua concezione
antropomorfica.
Ma
l’albero era altresì il più grande dei viventi: con una
altezza superiore al centinaio di metri (il cipresso, la sequoia,
l’eucaliptus...) e circonferenze di svariate decine, raggiungeva
dimensioni che nessun altro essere vivente, nemmeno gli scomparsi
sauri della preistoria, aveva mai potuto raggiungere. Come poteva
dunque, l’albero, non incutere riverenza o timore, essere
gigantesco e irraggiungibile che univa la terra al cielo, che
giungeva ad altezze cui la natura umana non avrebbe mai potuto
aspirare? E la sua verticalità, che ci faceva alzare lo sguardo fino
al cielo, come poteva non evocare la scala, la fune, la via che
legava il sotto e il sopra, le profondità oscure della
terra, la tenebrosa e informe realtà dell’interiorità in cui
affondava le sue nodose radici, con la sublime luminosità del cielo,
l’immensità dello spirito e della mente, l’onnipotenza della
divinità...? L’albero diventava dunque il simbolo dell’asse
dell’universo, di quel legame diretto e ideale che nella
coscienza umana unisce tutti i piani dell’esistenza, dentro e
fuori, sotto e sopra, coscienza ed inconscio, ombra e
luce...insopprimibile esigenza di unità dell’essere.
Ma
l’albero rappresentava altresì esso stesso un piccolo mondo
complesso, un microcosmo che integrava una sorprendente varietà di
esseri: fusto, rami, foglie, fiori, frutti, insetti, uccelli, animali
del bosco...; il suo continuo e imponente sviluppo, la nascita
continua dei rami e la loro capacità di generare a loro volta nuovi
rami e di biforcarsi via via, ci proponeva l’immagine della
società, il simbolo della crescita della famiglia, del popolo,
della nazione; è l’albero di Jesse, è la stirpe di Abramo, è
l’umanità intera unificata da una medesima origine e da comuni
radici...
Ed
ancora, l’albero essere vivente e mutevole: taluni – le
latifoglie – ci offrivano con evidenza l’immagine del perenne
ciclo delle rinascite, dei cambiamenti di vita, dei mutamenti
d’umore, il ciclo delle stagioni e della vegetazione: maestri
nell’insegnare la consapevolezza della continuità della vita,
nell’insegnare che la morte è un sonno in cui valorizziamo le
risorse necessarie al prossimo risveglio, e il risveglio è crescita
di nuovo legno e nuovi germogli; non diventava dunque l’albero un
formidabile simbolo di trasformazione, un simbolo del
mutamento nella continuità, e dunque un generoso aiutante nel
consolidamento della coscienza umana?
Altri
- i sempreverdi - ci proponevano l’immagine della perseveranza
e della volontà incrollabile, della motivazione alla vita: coperti
di neve nel buio inverno o asciugati dal sole nella luminosa estate
non mostravano alcun mutamento d’umore, invitandoci con forza a
mantenere saldo il nostro spirito e la nostra volontà di esistere e
di crescere, ad approfondire vieppiù le nostre radici. Quando
l’autunno toglieva lentamente alla natura i colori della vitalità
e della forza inducendola a ricoprirsi con quelli del sonno
ristoratore e dell’introspezione, loro - i sempreverdi -
mantenevano viva nel nostro inconscio collettivo la sensazione della
continuità e della inarrestabile energia della vita. Le loro
radici erano le più potenti motivazioni all’esistenza che noi
potessimo toccare o calpestare.
Albero
dunque protettore e aiutante; albero individuo e albero foresta,
bosco rifugio e bosco solitudine; albero antenato, padre, fratello,
spirito, maestro; albero asse del mondo, albero dell’unità e della
vita, simbolo multiforme dell’esperienza esistenziale dell’uomo;
albero immagine dell’umanità, albero simbolo di trasformazione ed
altresì di unità, e dunque di continuità nel mutamento...Albero
dunque potente simbolo capace di comunicare direttamente alla nostra
anima, al nostro inconscio, evocandone e le potenti energie creative
e le vitali emozioni guaritrici.
E’
davvero difficile che qualcuno non abbia mai provato alcuna emozione
per questi straordinari esseri viventi: chi ha goduto con piacere
dell’ombra estiva di un vecchio acero; chi si è fermato ad
ascoltare il canto delle foglie del pioppo; chi si è stupito
dell’odore intenso della fioritura del tiglio; chi ha schiacciato
tra le dita la bacca del ginepro e chi ha aperto una pigna per
sentirne l’essenza; chi ha appoggiato la schiena al liscio tronco
della betulla per cercare sollievo nel riposo e chi si è arrampicato
con desiderio tra i rami dell’albicocco; chi ha staccato una goccia
di resina dell’abete per odorarne il profumo intenso e sentirla
appiccicosa sulle dita; chi ha alzato con stupore lo sguardo per
vedere fin dove giungeva la cima del grande cedro; chi ha guardato
con melanconia l’ingiallire dei larici d’autunno sui fianchi
delle grandi montagne; chi ha goduto dello scricchiolio dei ricci e
delle foglie secche del castagno; chi ha sentito il fascino del
disegno delle venature di una ciotola di legno; chi è stato attratto
dal mistero ombroso del bosco e chi ne ha avuto paura, chi ha pianto,
chi ha riso, chi si è rincuorato,...
Dunque
gli alberi, creature viventi e mitiche, esseri sacri presso
tutte le religioni del pianeta, gli alberi hanno uno Spirito,
l’anima dell’essere umano o divino, della ninfa di cui sono
diventati la metamorfosi o che ha dato loro la vita: fu così per
Siringa diventata canna e flauto di Pan, e Dafne, lauro
di Apollo; Aria, ninfa del sughero e Driope, ninfa della
quercia sacra a Zeus; fu così per la casta Leuké, ninfa del
pioppo bianco, albero della morte luminosa; e per
Filira, la ninfa trasformata in tiglio, l’albero medicinale;
e Pitis, diventata il pino nero, e Caria il noce,
Fillide il mandorlo, Ciparisso il cipresso, Piramo e
Tisbe diventati gelsi. Certamente ancor prima di Ovidio, ogni
albero celebrato nel mito ha portato con sé un denso significato
simbolico che lo ha associato ad una particolare dimensione
dell’animo e dell’esistenza.
Ma
il mito dello spirito dell’albero che ci pare più denso di
speranza e più tenero assieme nelle Metamorfosi, è quello di
Filemone e Bauci. Filemone (‘colui che ama’) e Bauci (‘la
molto modesta’) avevano nutrito l’uno per l’altra un amore
senza nubi dall’adolescenza alla vecchiaia. Un giorno, due
viandanti si presentarono alla porta della loro casupola, dopo essere
stati dappertutto respinti. I due buoni vecchi subito li accolsero e
prepararono loro da mangiare: non erano riusciti a riconoscere nei
due viandanti Giove e Mercurio che avevano assunto un aspetto umano.
Sennonché, di lì a poco, Giove si tradì con i suoi ospiti, i quali
restarono mortificati per avergli offerto un pasto così magro. E gli
dei, che vollero punire gli abitanti di quel paese inospitale,
intesero ricompensare in modo clamoroso i due buoni vecchi. Li fecero
uscire di casa e salire con loro su una montagna vicina. Filemone e
Bauci videro con stupore che un lago aveva inghiottito le case degli
orgogliosi vicini, mentre la loro casupola sulla riva era diventata
uno splendido tempio. Giove, commosso, domandò loro di esprimere un
desiderio. I due domandarono di poter essere custodi del tempio di
Giove fino al termine della vita ed infine di morire assieme così
come assieme erano vissuti. I loro desideri furono esauditi, e al
termine della lunga vita i due sposi fedeli morirono assieme:
Filemone fu trasformato nella quercia sacra a Giove, e Bauci nel
tiglio, albero che guarisce.
E’
per tutto questo che oggi desideriamo ritrovare il valore simbolico
degli esseri che accompagnano la nostra esistenza sul pianeta, in un
momento in cui il simbolo è sempre più allontanato dalla vita
quotidiana dedicata al consumo inconsapevole, e sempre più relegato
nello sfruttamento cinico della pubblicità. Desideriamo circondarci
di simboli che ci aiutino a vivere consapevolmente la nostra
avventura verso la maturità, con la loro capacità di evocare
quell’intreccio di energie e di emozioni che ci sono state date in
eredità dagli innumerevoli esseri che ci hanno preceduto. E’ per
questo che desideriamo riportare anche l’immagine dell’albero e
la presenza del legno nella nostra vita e nella nostra abitazione,
proprio quando i materiali sintetici – eppure così utili – hanno
sostituito ogni oggetto che ci circonda; godere della compagnia di un
piatto di legno, di una ciotola, di un bicchiere, di un candeliere,
di un utensile...; saperlo lavorato a mano e concepito con
naturalezza; conoscere la storia e il significato della varietà da
cui è stato tratto; contemplare senza parole superflue la forma
simbolica che ci offre – cerchio che unisce, vaso che contiene,
piatto che offre, piatto che riceve..., semplice ed essenziale
meditazione nella quotidianità.
Gli
oggetti di cui ci circondiamo sono di legno, torniti e levigati a
mano, trattati con cera d’api e cera Carnauba, incollati con colla
vinilica o colla di pesce, senza alcun colorante o trattamento
artificiale; le essenze impiegate sono il rosso ciliegio, il tiglio
profumato, il duro frassino, l’acero
marezzato, il noce dalle vene scure, il solido castagno, il pino
cembro dall'intenso odore, e tanti altri ancora...
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