I simboli


La Coppa



Il simbolismo molto esteso della coppa si presenta sotto due aspetti essenziali: quello del vaso dell’abbondanza e quello del vaso contenente le bevande dell’immortalità.

Nel primo caso, è spesso paragonata al seno materno che produce il latte; una iscrizione gallo-romana di Autun, dedicata a Flora, assimila ‘la coppa da cui discende la grazia’ alla ‘mammella da cui esce il latte che nutre la città’. Stesso simbolismo e stessa assimilazione nella Mahalakshmi indù: il latte è qui sostituito dal soma, il che ci riporta alla nozione di bevanda dell’immortalità. La coppa del’offerta del soma è anche assimilata al crescente lunare, la cui luce si paragona tradizionalmente al colore del latte.

Il simbolismo più generale della coppa si applica al Graal medioevale, che raccoglie il sangue di Cristo e che contiene (ma le due cose in fondo si identificano) sia la tradizione momentaneamente perduta, sia la bevanda dell’immortalità. La coppa contiene il sangue, principio di vita: è dunque l’omologo del cuore e, di conseguenza, del centro. Ora, il geroglifico egiziano del cuore è il vaso. Il Graal è, etimologicamente, un vaso e un libro, il che conferma il doppio significato del suo contenuto: rivelazione e vita. Una tradizione vuole che esso sia stato intagliato da uno smeraldo caduto dalla fronte di Lucifero: questa pietra ricorda l’urnà shivaita e buddhista, il terzo occhio che assomiglia al senso del’eternità. Quando si leviga una gemma, scrive il maestro zen Dogen, essa diviene un vaso, contenente il fulgore della luce rivelato dalla levigatura, così come l’illuminazione si stabilisce nel cuore dell'uomo grazie alla concentrazione dello spirito.

Il Graal era designato anche come Vaissel: simbolo della nave, del’arca contenente i germi della rinascita ciclica, della tradizione perduta; notiamo inoltre che la luna crescente, equivalente alla coppa, è anche una barca.

Al simbolismo del Graal si avvicina quello della calotta cranica tantrica, contenente sangue (talvolta tè o alcool): è anche l’espressione della immortalità o della conoscenza ottenuta attravertso la morte, la rinuncia allo stato presente, e la rinascita iniziatica o sovrumana. Talune opere ermetiche occidentali raccomandano – probabilmente facendo riferimento ad un analogo simbolismo – l’uso di una calotta cranica per la realizzazione della Grande Opera Alchimistica. Gli alchimisti cinesi, non riuscendo nella preparazione diretta dell’Elisir di Vita, fabbricavano con l’oro ottenuto nel crogiolo il vasellame e le coppe manifestamente destinati a contenere i cibi e le bevande dell’immortalità.

Le coppe eucaristiche cristiane, contenenti il Corpo e il Sangue di Cristo, esprimono un simbolismo analogo a quello del Graal; ‘se non mangiate la mia carne e non bevete il mio sangue, non avrete la vita eterna’ dice Gesù. Il rito della comunione al quale esse sono destinate e che realizza la partecipazione virtuale al sacrificio e all’unione beatifica, si ritrova in diverse tradizioni, e in particolare nella Cina antica (considerando qui essenzialmente le apparenze esteriori dei riti, e non i loro significati dogmatici).

Questo è soprattutto un rito di aggregazione, di unione consanguinea (come nel giuramento di sangue delle società segrete), ma anche un simbolo di immortalità; bere alla stessa coppa fa parte anche dei riti matrimoniali consueti in Estremo Oriente. In Cina si beveva un tempo nelle due metà di una stessa zucca.

La Coppa è anche un simbolo cosmico: l’Uovo del Mondo separato in due forme, due coppe opposte, delle quali una, quella del Cielo, è l’immagine della volta celeste. I Dioscuri hanno come attributo proprio queste due metà. Il sacrificio vedico da parte dei tre Ribhu della divisione della coppa unica di Tvashtri in quattro coppe brillanti come i giorni designa l’opera cosmica dell’estensione del centro della manifestazione verso le quattro direzioni cardinali. Inversamente, quando il Buddha fa una sola ciotola delle quattro ciotole da elemosina portate dai quattro punti cardinali dai quattro Maharaja, rappresenta così il ritorno del quaternario cosmico all’unità primordiale.

In Giappone, lo scambio delle coppe (Sakazuki o Kawasu) rappresenta la fedeltà e ha luogo durante la cerimonia nuziale. Anche i gangster si scambiano le coppe bevendo con il nuovo affiliato e, per estensione, un atto simile è compiuto anche dal padrone con un suo nuovo subordinato.

Nel mondo celtico la coppa riempita di vino o di una bevanda inebriante (birra o idromele) che una ragazza porge o consegna al candidato Re è un simbolo di sovranità, e un riferimento a questa usanza si ritrova nella famosa storia del Baile an Scail, La Città del’Eroe. Il Re d’Irlanda, Conn, si vede consegnare la coppa da una ragazza di bellezza meravigliosa in presenza del dio Lug, il quale gli predice che la sua razza regnerà per numerose generazioni.

La coppa utilizzata per le libagioni rituali, così come nei pasti profani, è divenuta il supporto di un simbolismo assai sviluppato nelle tradizioni ebraiche e cristiane.

La coppa della salvezza (o della liberazione) che il salmista leva a Dio (Salmi, 116-12) è evidentemente una realtà culturale e un simbolo dell’azione di grazia, così come anche la coppa eucaristica (coppa dell’azione di grazia) o coppa di benedizione (Corinzi, 10-16). Nella Bibbia, il simbolismo principale della coppa fa riferimento al destino umano: l’uomo riceve dalla mano di Dio il suo destino, come una coppa o come il contenuto di una coppa; può trattarsi di una coppa traboccante di benedizioni (Salmi, 25-5), o di una coppa colma di fuoco della punizione (Salmi, 11-6), la coppa della collera di Dio (Apocalisse, 16-19). Perciò lo strumento di cui Dio si serve per castigare (un uomo, un popolo, una città…) può essere paragonato ad una coppa ( Geremia, 51-7, Zaccaria, 11-2). Quando Gesù parla della coppa che deve bere (Matteo 20-22 ss) e domanda a suo Padre di risparmiargli questa prova (Matteo 26,39), non si riferisce soltanto alla sua morte, ma più in generale al destino che Dio gli propone e che egli accetta consapevolmente.



Nella letteratura mistica dell’Islam, la coppa rappresenta generalmente il cuore, inteso come organo dell’intuizione o come vertice dell’anima. Il cuore dell’iniziato, che è anche un microcosmo, è spesso paragonato alla coppa di Gemshid, il leggendario re persiano che possedeva una coppa nella quale poteva vedere l’universo. Nei Segreti di Hamza si dice che uno dei compagni dell’Emiro Hamza, zio di Maometto, recatosi alla tomba di Adamo nell’isola di Serendib (Ceylon), aveva ricevuto da Adamo in persona una coppa magica, grazie alla quale poteva assumere qualunque aspetto volesse: simbolo del poter divenire tutto ciò che conosciamo, nel senso di ‘nascere con’.

Nell’Islam la coppa d’amore o il vino della gioia sono concessi ai Santi privilegiati in Paradiso, nel simbolo del monastero ‘che unisce la messa in scena coranica con la scena poetica del convento cristiano, dove i poeti arabi preislamici e i loro carovanieri beduini venivano a bere il vino.. I Santi venuti da lontano depongono alla porta i loro bastoni e sono ammessi a entrare per bere il vino versato dai coppieri (gli Angeli); poi ricevono, alla luce dei deri, il saluto di un Essere misterioso, apparso improvvisamente, con l’aspetto di un giovane di solenne bellezza; essi si prosternano davanti a quest’idolo che cela l’Essenza divina’. La coppa è simbolo della preparazione alla comunione nell’adorazione e nell’amore.

Nell’Islam la coppa rappresenta non soltanto il contenente, ma anche l’essenza di una rivelazione: si racconta che, quando il Profeta arrivò a Gerusalemme, in occasione del suo viaggio notturno, entrò nella Moschea. ‘Quando ne uscii’ – egli dice – ‘Gabriele venne a me con una coppa contenente del vino ed un’altra contenente latte cagliato. Ho scelto quest’ultima. Gabriele mi disse: tu hai scelto la fitra (cioè la natura umana, nella sua concezione originale, estranea ad ogni riferimento al battesimo cristiano e alla legge mosaica). Secondo un’altra versione, in occasione dell’arrivo di Maometto a Gerusalemme, tutti i profeti l’accolsero: gli furono presentate tre coppe, l’una contenente latte, l’altra vino e la terza acqua. 

Bibliografia

I testi sono stati tratti liberamente da:
J. Brosse, “Storie e Leggende degli alberi”, Ed. Studio Tesi, 1991
J. Chevalier, A. Gheerbrant, “Dizionario dei simboli”, Rizzoli 1986;
N. Julien, “Il linguaggio dei simboli”, Mondadori 1997;
M. Vescoli, “Calendario dei Celti”, Ed. Parole di Cotone 1997
H. Vedel, J, Lange, F. Montacchini, “Alberi e arbusti”, Paoline 1979.


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