Le essenze


il pino cembro
Il Pino.



Vi sono numerose e diversissime varietà di questa specie arborea: il Pino Silvestre può raggiungere i 50 m. di altezza e i 500 anni di età; il Pino Nero può essere ancora più maestoso e longevo; il Pino Cembro vive ad alta quota sulle Alpi, così come il Pino Mugo; il Pino Marittimo vive nell’ambiente mediterraneo e produce mandorle commestibili, i pinoli.

Ogni varietà ha avuto un particolare areale di propagazione e si è ambientato in una particolare fascia climatica.

Il pino è una specie ermafrodita, ha sia fiori maschili che femminili e sembra quindi fecondarsi da sè; inoltre come tutte le conifere, diversamente dalle latifoglie, il pino non mette polloni è perciò non può rinascere da se stesso: una volta tagliato, non si riproduce più. Per gli antichi tutta la sua vitalità, tutto il suo potere riproduttore si concentrava nel frutto che abbandonava al vento i suoi semi.

Nell’antichità il pino era un dio, ed alquanto singolare. Il culto di Attis proviene dall’Asia Minore, che fu probabilmente anche l’areale di origine del pino marittimo o ad ombrello e da cui in epoca romana fu propagato in tutto il Mediterraneo. Attis, il pino sacro, moriva castrandosi da sè e resuscitava: sacrificava se stesso per gli uomini e i suoi sacerdoti lo imitavano. La pigna raffigurava l’organo che il dio si recideva, ma il suo sacrificio corrispondeva soprattutto al salasso dell’albero, cioè alla raccolta della resina praticata appunto sul pino marittimo. Il taglio per l’estrazione della resina veniva eseguito in Marzo – Aprile, periodo in cui si celebravano anche le feste di Attis. Il dio, per svolgere il suo ruolo benefico, perdeva così anche il suo sangue per donarlo agli uomini.

Per i Greci, non del tutto accondiscendenti al culto asiatico di Attis, il pino fu dapprima l’albero della Terra, Rea, sposa di Cronos e madre di Poseidon, Ade e Zeus. In seguito il pino fu Piti, la ninfa che per sfuggire ai desideri di Pan e mantenersi casta, si trasformò in pino nero. O, in altra versione, Piti preferì Pan a Borea, il vento del Nord; Borea si vendicò col suo soffio violento precipitandola giù da una scogliera, dove Pan la trovò e la mutò in pino. Quando in autunno soffia Borea, la ninfa piange gocciolando la resina dalle sue pigne.

Anche il pino dunque, come molti altri alberi, è portatore di un doppio significato mitico, di vita e di morte, di fecondità e di castità.

Nell’antichità, ma in parte ancora oggi, dal pino si ricavavano importanti prodotti di utilità pratica e medicinale; la resina forniva un olio essenziale e volatile, l’essenza di trementina, che come l’olio officinale estratto dalle gemme erano espettoranti e diuretiche e venivano impiegati nelle affezioni respiratorie.

Dalla resina si ricavava la pece, impiegata nella calafatazione delle barche; la resina veniva impiegata nella preparazione di balsami e aromi, ed inoltre era un componente essenziale dell’incenso. La corteccia calmava le coliche; i pinoli avevano funzione tonica e contro l’acidità di stomaco; le pigne bollite nell’acqua calmavano gli emottoici; la pece riscaldava e cicatrizzava, era usata contro i morsi dei serpenti, mescolata al miele curava l’angina, il catarro e gli starnuti.

Tuttora diversi preparati tratti dal pino silvestre vengono utilizzati in bagni e frizioni contro i reumatismi e la sciatica, o in cure omeopatiche; e in Germania si usano gli aghi di pino bolliti in acqua alcalina per imbottire i materassi dei reumatici.


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